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INDAGINE CONOSCITIVA SUL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI




Documenti:
icon AMATO 17-5-1995

Relatore:
Giuliano Amato

Sede:
Camera dei Deputati -Commissione IX Trasporti, Poste e Telecomunicazioni


PARTE PRIMA
La promozione della concorrenza nell'industria italiana delle telecomunicazioni nel quadro delle trasformazioni in atto. Aspetti generali.

Da alcuni anni a questa parte, il sistema delle telecomunicazioni è al centro di processi di trasformazione che ne stanno radicalmente mutando la struttura. Gli agenti di tale cambiamento sono essenzialmente: a) il processo di convergenza tecnologica ed economica, che tende a ricomporre in un unico grande mercato le attività ora separatamente attribuibili ai settori delle telecomunicazioni, dell'informatica e dei mass media (servizi televisivi, in primo luogo); b) la crescente liberalizzazione del sistema delle telecomunicazioni nei Paesi industrializzati, che condurrà i Paesi europei a superare, nei prossimi anni, le condizioni di monopolio legale che ancora interessano i servizi di telefonia vocale di base e le infrastrutture di rete; c) la maggiore propensione dei gestori ad internazionalizzare la propria attività, in reazione soprattutto alla crescente globalizzazione dei mercati, ovverosia alle nuove ed articolate esigenze dell'utenza multinazionale.
L'insieme di queste trasformazioni, tra loro fortemente interrelate, comporterà entro breve tempo un radicale cambiamento degli assetti strutturali del settore che contribuirà a rilanciare lo sviluppo economico e sociale dei Paesi coinvolti. Coerenti con questa previsione, risultano le numerose iniziative sul futuro delle telecomunicazioni che si sono andate promuovendo negli ultimi tempi, fino al recentissimo vertice del G7 sulla cosiddetta "società dell'informazione".
Dall'insieme delle molteplici iniziative e dal confronto tra le diverse opinioni di volta in volta avanzate, emerge un quadro connotato da talune incertezze (sull'effettivo ritmo di crescita dei mercati coinvolti dai processi ora descritti, sulla prevalenza di una traiettoria tecnologica rispetto ad un'altra, sull'affermazione di un modello di impresa globale multi-prodotto rispetto ad una impresa maggiormente specializzata), ma anche da un elemento certo: la necessità di ampliare al massimo il dominio della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni.
In Europa, un impulso particolarmente forte alla promozione di un contesto pienamente concorrenziale proviene dalle recenti iniziative dell'Unione Europea, che confermano e consolidano l'indirizzo alla base del Libro Verde del 1987 della Commissione CE, relativo all'avvio di un processo di liberalizzazione per le telecomunicazioni che contribuisse a favorire la costituzione del mercato unico.
La politica di promozione della concorrenza in tutti i mercati di telecomunicazioni, cui sempre più decisamente è orientata l'UE, trova un radicato fondamento negli sviluppi tecnologici "recenti" In particolare, l'introduzione delle tecnologie a fibra ottica per i cavi di trasmissione e delle tecnologie digitali per le centrali di commutazione permette la presenza di una pluralità di gestori di reti con presumibili effetti di riduzione dei prezzi. che hanno ulteriormente e sensibilmente ridotto l'ambito delle attività  per le quali la gestione monopolistica può essere ancora considerata l'assetto strutturale più efficiente. E' per tali ragioni che oggi diviene proponibile l'apertura alla concorrenza anche per la fornitura del servizio di telefonia vocale di base, che, è bene ricordare, rappresenta attorno all'80% dei ricavi dei gestori nazionali, nonché per la gestione stessa delle reti di telecomunicazioni.
Rispetto a questo scenario, il nostro Paese denota una situazione di preoccupante ritardo nell'introduzione di una effettiva concorrenza nelle telecomunicazioni, che si coniuga alla permanenza di un impianto regolamentare sicuramente obsoleto (si rammenta, ad esempio, che il cosiddetto Codice Postale è del 1973) ed in larga parte contraddittorio rispetto all'evoluzione che ha conosciuto la normativa comunitaria nel settore.
Quale esemplare dimostrazione dello "sfasamento" tra le condizioni concorrenziali caratteristiche del sistema italiano delle telecomunicazioni ed il contesto comunitario, si deve denunciare come, a quasi cinque anni di distanza, solo di recente (con il decreto legislativo n. 103 del 17 marzo 1995) si è provveduto a recepire nell'ordinamento nazionale la Direttiva 90/388/CEE, su cui si fonda la politica comunitaria per la liberalizzazione dei servizi di telecomunicazioni La Direttiva della Commissione 90/388/CEE, insieme alla Direttiva del Consiglio 90/387/CEE relativa alla fornitura di una rete aperta di telecomunicazioni (ONP), ha introdotto nel mercato comunitario la netta separazione tra la gestione unitaria dell'infrastruttura di rete pubblica e la fornitura di servizi su tale rete da parte di una pluralità di operatori, a cui devono essere garantite, nello svolgimento dell'attività imprenditoriale, pari opportunità concorrenziali (la creazione di un level playing field).. D'altro canto, il percorso per l'implementazione della suddetta Direttiva non è ancora pienamente compiuto: il decreto legislativo di recepimento ha difatti demandato a successivi decreti ministeriali - da emanarsi entro il termine di 120 giorni - la specifica definizione degli aspetti relativi alle modalità tecniche e tariffarie per l'accesso alle linee di trasmissione che i privati dovranno affittare dal gestore pubblico. In ogni caso, attraverso la dilazione nella procedura di implementazione, si è di fatto contrastato un obiettivo primario dell'azione comunitaria nelle telecomunicazioni, il quale mirava a restringere l'ambito della regolamentazione specifica al settore, sostituendola, dove possibile, con la promozione della concorrenza, considerata quale principale forza propulsiva dell'innovazione tecnologica e dell'efficienza delle imprese.
A tale proposito, peraltro, occorre segnalare come le difficoltà e le resistenze incontrate nel recepimento e nell'attuazione dei principi di liberalizzazione elaborati a livello comunitario, siano il sintomo preoccupante di un più generale ritardo culturale che ha spesso indotto a percepire gli impegni derivanti dalla partecipazione del nostro Paese al processo di costruzione dell'Unione Europea assai più come un vincolo che non come un'opportunità. Le iniziative comunitarie in materia di apertura ed integrazione dei mercati nazionali, di promozione della concorrenza e di liberalizzazione delle condizioni di accesso e di esercizio dell'iniziativa imprenditoriale, rappresentano in realtà un fattore importante di stimolo alla crescita e al rafforzamento strutturale del grado di competitività del nostro sistema economico e produttivo, in grado di attivare incentivi consistenti allo sviluppo e alla diffusione delle innovazioni di processo e di prodotto ed alla gestione efficiente delle imprese e di favorire, a beneficio dei consumatori, il miglioramento qualitativo e l'ampliamento della quantità e della gamma dei beni e dei servizi offerti.
La necessità di rafforzare nel nostro Paese l'azione a favore della liberalizzazione e di una ri-regolamentazione del settore delle telecomunicazioni deriva, oltre che dalle trasformazioni strutturali menzionate in precedenza (con il possibile ingresso di nuovi operatori e di nuovi servizi), dalla esigenza di "valorizzare" anche sotto il profilo della concorrenza l'avvenuta costituzione del gestore unico (Telecom Italia).
A questo riguardo, vi sono tre ordini di considerazioni da sviluppare. In primo luogo, è opportuno che l'accrescimento delle capacità competitive connesse all'istituzione del gestore unico, oltre a rafforzare la sua posizione competitiva sui mercati internazionali, non si traduca anche in un impedimento all'affermazione di un ambiente maggiormente concorrenziale per le telecomunicazioni italiane. In altri termini, si dovrà evitare che tale rafforzamento possa essere indirizzato dal gestore pubblico per dar luogo ad iniziative che abbiano per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza sul mercato italiano. In secondo luogo, si deve osservare che, comunque, un basso grado di concorrenza sul mercato interno costituisce, alla fine, un handicap per lo stesso gestore pubblico, nel momento in cui questi si trovi a dover competere sui mercati internazionali con imprese che sperimentano già sul proprio mercato interno le asprezze e gli stimoli di un ambiente concorrenziale. D'altro canto, come accade per tutti i settori interessati da un intenso processo di innovazione tecnologica, un contesto concorrenziale appare indubbiamente più favorevole, rispetto agli scarsi stimoli associati alla posizione di "rendita" del monopolio, per la promozione e lo sviluppo dell'innovazione. In terzo luogo, la permanenza di sostanziali condizioni di monopolio nel mercato italiano delle telecomunicazioni potrebbe dare luogo ad atteggiamenti di "ritorsione" da parte degli altri Paesi, né si può presumere l'indifferenza delle istituzioni internazionali preposte alla tutela della concorrenza. Gli atteggiamenti di "ritorsione" potrebbero tradursi in ostacoli, se non in veri e propri divieti, agli sbocchi di mercato che gli operatori italiani (Telecom Italia, in primo luogo) cercassero all'estero: ne risulterebbero compromesse le iniziative volte ad esportare i propri servizi o beni, le acquisizioni di imprese estere, le joint venture internazionali, gli stessi accordi di produzione o di cooperazione scientifica con partner locali. E, per quanto concerne le possibili differenze nell'atteggiamento delle Autorità antitrust a seconda che le iniziative proposte traggano origine da operatori attivi in mercati più o meno concorrenziali, è appena il caso di ricordare i diversi esiti che hanno conosciuto due recenti operazioni internazionali. Così, mentre la joint venture tra BT (British Telecom) e MCI è stata prontamente approvata sia dall'Antitrust europeo che da quello statunitense (FCC), per quanto riguarda Atlas, la joint venture tra France Télécom e Deutsche Telekom (cui dovrebbe partecipare anche l'americana Sprint), l'Antitrust europeo ha espresso i suoi dubbi circa la compatibilità dell'operazione con la disciplina della concorrenza, per via dell'assetto ancora monopolistico dei mercati tedesco e francese, e sta procedendo ad un approfondimento di indagine. Intanto, presso la FCC pendono i ricorsi di BT per l'eventuale allargamento a Sprint dell'alleanza tra i due gestori europei.
Una considerazione di ordine più generale, infine, è relativa ai costi che l'utente italiano dovrebbe sostenere, nei termini di una minore qualità ed innovatività dei servizi e di una maggiore onerosità delle tariffe - ovvero di condizioni di fruizione meno soddisfacenti - a giustificazione di una eventuale protezione del monopolista sul mercato interno finalizzata a favorirne la collocazione sui mercati internazionali. La questione che si pone è la seguente: è plausibile ed è lecito, in un quadro di crescente integrazione tra le economie comunitarie, che si produca una sostanziale disparità di trattamento tra cittadini/utenti facenti parte della stessa Unione economica? Ovverosia, è compatibile con la stessa "filosofia" comunitaria il fatto che taluni utenti possano beneficiare degli esiti connessi alla maggiore concorrenza, indotta dall'ingresso sul loro mercato di un operatore straniero, mentre questo stesso operatore, potendo vantare condizioni di protezione sul proprio mercato nazionale, nega di fatto quegli stessi benefici ai consumatori del proprio Paese? E' evidente che risulta assai problematico non ravvedere la asimmetria che si viene a stabilire tra equivalenti categorie di utenza e, di conseguenza, non intervenire per porvi rimedio.
Queste riflessioni, peraltro, possono costituire un utile punto di riferimento nel contesto della prospettata privatizzazione delle imprese pubbliche operanti nel settore delle telecomunicazioni, soprattutto in ragione della possibilità di indirizzare il processo di dismissione verso la definizione di assetti proprietari ed organizzativi volti a favorire lo sviluppo di un ambiente concorrenziale, nel quale vengano incentivati comportamenti d'impresa tali da consentire un miglioramento dei servizi offerti a vantaggio degli utenti.
A tale proposito, e con riferimento al più generale comparto dei principali servizi di pubblica utilità, l'Autorità ha ripetutamente richiamato l'attenzione del Parlamento e del Governo sulla natura irripetibile delle opportunità determinate dal processo di privatizzazioni in ordine alla definizione di strutture produttive maggiormente concorrenziali. Ciò implica la necessità di interventi preventivi di riorganizzazione societaria delle imprese pubbliche attualmente operanti in questi settori, diretti a consentire che la liberalizzazione delle condizioni di accesso ai mercati trovi adeguato sostegno nello sviluppo di un contesto complessivamente più favorevole all'attivazione ed al corretto funzionamento dei meccanismi della concorrenza.
In tal senso, va anche rilevato come una netta separazione proprietaria tra il gestore del servizio di telecomunicazioni e le imprese fornitrici attualmente controllate dalla STET, eliminando i possibili incentivi del gestore a privilegiare, nell'assegnazione delle proprie commesse, imprese controllate o collegate, potrebbe fornire maggiori garanzie in ordine all'efficienza e alla correttezza delle sue scelte di approvvigionamento. Da questo punto di vista, la scelta di procedere alla privatizzazione separata delle singole società operative attualmente controllate dalla STET risulterebbe preferibile rispetto all'alternativa di un collocamento di quest'ultima sul mercato.


PARTE SECONDA
Gli ostacoli all'affermazione della concorrenza. Analisi di alcune situazioni particolari.

a) Le infrastrutture di telecomunicazione: libertà di accesso, interconnessione e reti alternative
       
Libertà di accesso alla rete pubblica: opportunità e vincoli
In relazione al tema dell'accesso alla rete pubblica, l'Autorità ha già avuto modo di esprimere il proprio punto di vista, essenzialmente mirato a favorire l'accesso alla rete pubblica a condizioni eque e non discriminatorie per tutti i fornitori di servizi di telecomunicazioni. A questa "raccomandazione" se ne associa un'altra, che riguarda la necessità di procedere alla revisione delle attuali strutture tariffarie, al fine di evitare fenomeni di cream skimming (collegati alla possibilità per i new comer di avvantaggiarsi della distorsione tariffaria) e quindi, di danneggiare (fino ad escludere) l'impresa che fornisce il servizio pubblico.
In presenza di un gestore della rete che - al contempo - assume la veste di fornitore di servizi di telecomunicazioni in concorrenza con le imprese che domandano accesso alla rete l'apertura dell'accesso alla rete rischia, tuttavia, di essere  inefficace sotto il profilo della concorrenza, se non si provvede a "disciplinare" obblighi e facoltà del gestore pubblico. A tal fine, l'auspicio è - come si ribadirà più avanti - per l'istituzione di un soggetto regolatore dotato di elevate competenze e capace di fare evolvere la disciplina del settore in armonia con il progresso tecnologico, particolarmente intenso nelle telecomunicazioni.

Le problematiche dell'interconnessione
Un rischio immediatamente evidente, connesso alla situazione appena descritta (ovverosia, il doppio ruolo del gestore), è quello della fissazione di tariffe di interconnessione alla rete ingiustificatamente elevate. Una tale eventualità, che è coerente con l'obiettivo del gestore pubblico di compensare per questa via le perdite di profitto connesse alla (attesa) riduzione della domanda per quei servizi che non sono più in esclusiva, ostacolerebbe di fatto l'ingresso di nuovi operatori. E' allora opportuno che l'Autorità settoriale di regolamentazione provveda a definire tali tariffe, prevedendo innanzitutto che esse siano orientati ai costi. Riguardo alle modalità tecnico-economiche per individuare tariffe di interconnessione "eque", l'Autorità ha espresso in un suo precedente intervento (Concorrenza e regolamentazione nei servizi di pubblica utilità) una indicazione di massima, in favore dell'adeguamento al costo marginale di lungo periodo.
Più in generale, sotto il profilo della interconnessione delle reti, l'Autorità desidera segnalare la necessità che si definisca - in primo luogo, per quanto attiene alla rete pubblica commutata - una disciplina normativa che, da un lato, impedisca discriminazioni a danno dei gestori che si avvalgono (o si avvarranno) di proprie infrastrutture di rete e, dall'altro, favorisca l'interconnessione tra le diverse infrastrutture, al fine di promuovere la realizzazione di un sistema di reti "aperto" alle esigenze sia dei fornitori di servizi, sia degli utenti finali. Su tali aspetti, l'Autorità ha peraltro espresso di recente la propria opinione in una segnalazione inviata in data 10 agosto 1994 al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni.
E', inoltre, opportuno che si individuino regole che impongano al gestore comportamenti trasparenti sul piano operativo e finanziario, in particolare attraverso la previsione di obblighi specifici in materia di separazione organizzativa e contabile tra attività di gestione della rete e attività di servizio. Fino a prevedere, in taluni casi, la separazione proprietaria delle diverse attività, rispondenti a regimi di mercato differenti, senza peraltro ostacolare il raggiungimento di eventuali rilevanti economie di produzione congiunta.
 
La questione delle reti "alternative"
Per lo sviluppo dei servizi di telecomunicazioni, grande rilievo assume il processo di apertura alla concorrenza delle infrastrutture, cosiddette "alternative", che possono fungere da piattaforma per la prestazione di tali servizi. In Italia, alla rete pubblica di telecomunicazioni, gestita in concessione dall'operatore nazionale (Telecom Italia), si affiancano alcune infrastrutture "alternative", realizzate da società fornitrici di servizi pubblici in base a speciali concessioni ad uso privato (si tratta, in particolare, delle infrastrutture di telecomunicazioni in dotazione alle Ferrovie dello Stato, alla Società Autostrade, alla SNAM ed all'ENEL). Non è ancora stata realizzata, invece, alcuna rete televisiva via cavo, come è accaduto per la maggior parte degli altri Stati membri dell'Unione, dove il settore della TV via cavo è in pieno sviluppo e dove più avanzato è il processo di integrazione tra i servizi televisivi e quelli di telecomunicazioni.
In merito alle infrastrutture "alternative", appare opportuno che nel nostro Paese si promuova una indagine comparata - ad oggi non disponibile - sulle caratteristiche delle diverse reti attualmente in essere  Qualche utile indicazione sulle caratteristiche delle reti "alternative" è contenuta nel testo finale dell'indagine conoscitiva sulla multimedialità realizzata dalla VIII Commissione del Senato (Commissione Bosco).
, nonché sul loro grado di fungibilità ai fini dell'erogazione di servizi di telecomunicazione e radiotelevisivi. In particolare, andrebbe chiarito l'effettivo grado di sostituibilità delle reti "alternative" rispetto alla rete pubblica commutata: per quali servizi/funzioni le reti "alternative" siano sostitutive dell'infrastruttura pubblica ed in quali situazioni, invece, siano ad essa complementari. L'acquisizione di maggiori conoscenze in materia sarebbe altresì importante per individuare verso quale "modello" tenderanno ad evolvere le telecomunicazioni italiane. Al riguardo, nel dibattito scientifico sembrano prevalere due prospettive: la prima, individuata talora come "modello" francese, risponde ad un approccio del tipo top down ed è centrata sui principi della unicità e della universalità della rete, la quale si dirama capillarmente e prevede, comunque, la connessione alla infrastruttura  pubblica delle eventuali reti specializzate (dedicate); per la seconda tipologia, da taluni definita "geodesica" od "americana", ed ispirata ad una filosofia bottom up, è fondamentale lo sviluppo di reti dedicate, ossia volte al soddisfacimento della domanda per specifici servizi: solo successivamente si porrà la questione di una eventuale interconnessione tra tali reti. Sarà, infine, compito del cosiddetto system integrator intermediare tra domanda ed offerta di servizi, con l'intento di fornire all'utente finale la soluzione meno costosa e più idonea alle sue esigenze, attraverso un processo di selezione tra i servizi e le infrastrutture disponibili.
Per quanto attiene al grado di concorrenza tra reti che è possibile promuovere fin da ora, bisogna tenere conto di due aspetti. Da un lato, i ragguardevoli progressi della tecnologia nel campo delle attività di telecomunicazioni - sia per le funzioni di commutazione che per quelle di trasmissione dei segnali - che hanno fatto venire meno le ragioni a favore del monopolio naturale: attualmente, difatti, non appare più valido l'argomento della inutile ed inefficiente duplicazione delle infrastrutture disponibili, che più volte è stato avanzato in passato per avversare la realizzazione di nuove reti di telecomunicazioni. Dall'altro lato, si deve ricordare che già esistono reti in parte assimilabili alla rete pubblica commutata, ovverosia in grado di fungere quale piattaforma per l'erogazione di servizi di telecomunicazioni (o affini). E' questo il caso della costituenda rete radiomobile di Omnitel, nonché delle reti "alternative" prima richiamate e delle reti via cavo.
Quale principio generale, l'Autorità è dell'opinione che questa "molteplicità" di reti costituisca una risorsa per il Paese ed, in particolare, rappresenti una importante opportunità per lo sviluppo concorrenziale del mercato dei servizi di telecomunicazioni, allorché consente ai fornitori di servizi la scelta tra una pluralità di gestori. Per queste ragioni, l'Autorità ha giudicato preoccupante, sotto il profilo della tutela della concorrenza, un processo che conducesse ad una progressiva concentrazione delle infrastrutture di telecomunicazioni.
In conclusione, sulla questione della promozione della concorrenza nella gestione delle infrastrutture di rete, appare del tutto condivisibile l'orientamento della Commissione Europea, espresso nel recentissimo Libro Verde sulla liberalizzazione delle reti di telecomunicazioni e di televisione via cavo, di pervenire alla completa liberalizzazione delle reti di telecomunicazioni, ivi comprese le nuove reti, per le quali è cioè necessario il rilascio di un'apposita autorizzazione. Indiscutibili, difatti, risultano i vantaggi della liberalizzazione delle infrastrutture: nei Paesi dove la liberalizzazione è già stata introdotta (Regno Unito,  Svezia, Stati Uniti, Giappone, Australia e Nuova Zelanda), ne è derivata una sensibile riduzione delle tariffe, una più estesa possibilità di scelta per gli utenti, nonché un generale miglioramento della qualità degli stessi servizi. Questi stessi Paesi hanno inoltre raggiunto nel settore delle telecomunicazioni tassi di crescita generalmente più elevati, con esiti favorevoli sia per l'occupazione del comparto che per la competitività dei settori che si avvalgono delle reti alternative.
Per tali ragioni, sarebbe opportuno valutare la possibilità, per il nostro Paese, di anticipare - rispetto alla prevista scadenza del 1998 - tanto l'abolizione degli ostacoli per l'utilizzo delle infrastrutture alternative già esistenti per la fornitura anche del servizio di telefonia vocale pubblica, quanto il rilascio di autorizzazioni per l'installazione di infrastrutture da parte di nuovi gestori. Infatti, per i Paesi in ritardo nel processo di apertura alla concorrenza, quale è appunto l'Italia, la modalità più efficace per recuperare terreno è accelerare, piuttosto che dilazionare, la transizione verso un contesto pienamente concorrenziale.

b) La telefonia radiomobile

Come noto, solo con la recente sottoscrizione delle Convenzioni Firmate rispettivamente in data 30 novembre 1994 da Omnitel-Pronto Italia ed in data 16 dicembre 1994 da Telecom Italia. per l'espletamento del servizio di telefonia radiomobile GSM da parte di Telecom Italia e di Omnitel-Pronto Italia, si è concretamente delineata, anche nel nostro Paese, la prospettiva di una sia pur parziale apertura alla concorrenza (sostituzione di un monopolio con un duopolio) del mercato della telefonia radiomobile digitale.
Questo avvenimento, peraltro estremamente importante, rappresenta solo un primo, ancorché fondamentale, passo per avviare anche in Italia il processo di liberalizzazione del mercato della telefonia radiomobile digitale. In proposito, l'Autorità ha più volte ribadito l'importanza di una progressiva apertura alla concorrenza nel mercato della telefonia radiomobile, facendo ricorso ai propri poteri di segnalazione (parere al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro delle Poste in data 25 febbraio 1993), conoscitivi (indagine conoscitiva conclusa nel giugno 1993) ed istruttori (procedimento concluso il 28 ottobre 1993, con cui si è accertato l'abuso di posizione dominante di SIP per aver indebitamente pregiudicato l'assetto concorrenziale del mercato della telefonia radiomobile con sistema GSM). Inoltre, proprio nella fase di sottoscrizione delle Convenzioni, l'Autorità è ulteriormente intervenuta a manifestare la propria preoccupazione per il rischio di distorsione della concorrenza nel mercato del servizio GSM che sarebbe potuto derivare dall'eventuale decisione di liberalizzazione delle tariffe del servizio TACS, mentre continuava a permanere il regime di monopolio legale di Telecom Italia.
Da ultimo, a seguito anche delle segnalazioni inviate all'Autorità da Omnitel-Pronto Italia, nonché da diversi rivenditori di prodotti di telefonia candidati al ruolo di dealer per il servizio GSM di Telecom Italia, l'Autorità ha provveduto ad una valutazione del quadro delle condizioni concorrenziali del settore, da cui è emersa l'esistenza di questioni non ancora risolte. In linea generale, si è osservata la persistenza di alcune difficoltà nella realizzazione effettiva della parità di condizioni di accesso al mercato, e si è denotato il conseguente rischio di un non regolare svolgimento del processo di liberalizzazione. Queste preoccupazioni, in quanto comunque riconducibili al quadro regolamentare vigente, hanno formato oggetto di una apposita segnalazione, inviata il 17 marzo u.s. alla Presidenza del Consiglio ed al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, con cui sostanzialmente si auspicava un intervento del Ministero PP.TT., affinché - nel rispetto dei poteri assegnatigli dalle stesse Convenzioni - quest'ultimo esercitasse i suoi poteri di regolamentazione, come indicava anche la sentenza della Corte di Appello di Roma, cui si era rivolta Omnitel-Pronto Italia. In particolare, l'Autorità sollecitava il Ministero PP.TT. a promuovere una sollecita definizione degli accordi di interconnessione ed a garantire, nel contempo, pari condizioni per entrambi i gestori. Ed è, pertanto, con viva soddisfazione che l'Autorità ha appreso nei giorni scorsi la conclusione tra i due gestori di un accordo che, grazie all'azione del Ministero PP.TT. ed alla disponibilità manifestata dalle imprese, appare in piena assonanza con quanto auspicato nella stessa segnalazione dell'Autorità. Continua naturalmente a competere all'Autorità ogni intervento volto a rimuovere eventuali condizioni di fatto ostative all'affermazione di un effettivo regime concorrenziale nel mercato della telefonia radiomobile.
       
c) La trasmissione dati ed i servizi a valore aggiunto

L'Autorità ha avviato una indagine conoscitiva, attualmente in fase di completamento, sui servizi di trasmissione dati, al fine di acquisire un adeguato quadro di riferimento per valutare le prospettive di sviluppo della concorrenza nel settore. Nel corso dell'indagine, è chiaramente emerso come il mercato italiano della trasmissione dati sia caratterizzato da un ritmo di crescita inferiore a quello che si registra in altri Paesi industrializzati. Si è altresì palesato che, tra le ragioni del ridotto sviluppo del settore, vanno annoverati: il ritardato recepimento della Direttiva 90/388/CEE sulla liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione e la conseguente incertezza degli operatori tuttora in attesa di un quadro di regolamentazione chiaro e definitivo; nonché l'alto costo, rispetto agli altri paesi dell'Unione europea, delle linee affittate necessarie alla prestazione del servizio.
Ed, in effetti, la transizione dal monopolio (di SIP/TELECOM ITALIA) ad una effettiva concorrenza sta avvenendo in un quadro regolamentare alquanto confuso. Il tardivo ed incompleto recepimento della Direttiva 90/388/CEE ha, di fatto, lasciate libere le imprese che offrono servizi di trasmissione dati e, più in generale, servizi a valore aggiunto, di interpretare le intenzioni del regolatore alla luce delle (diverse) proposte di provvedimento avanzate dal ministero competente. E' accaduto così che molteplici operatori abbiano ritenuto direttamente applicabili i principi della Direttiva CE, iniziando così ad offrire a terzi i propri servizi di trasmissione dati Come si dirà più diffusamente in altra parte della Relazione, secondo taluni operatori di telecomunicazioni, anche i servizi di telefonia vocale su rete privata interna debbono intendersi liberalizzati dalla Direttiva in questione e conseguentemente, sulla scorta di quanto accadeva in altri paesi europei (Germania, Francia ed Inghilterra), hanno iniziato ad offrire tali servizi mediante proprie reti private..
In una situazione di incertezza sul futuro del mercato dei servizi di trasmissione dati e dei servizi a valore aggiunto, vi sono stati importanti cambiamenti nella struttura dell'offerta, sia dal punto di vista della composizione merceologica, che per quanto riguarda le strategie e le caratteristiche degli operatori. Ciò - indubbiamente - ha concorso a modificare l'assetto delle condizioni concorrenziali.
In sintesi, le principali modificazioni hanno riguardato: a) l'ampliamento della gamma e la riqualificazione dell'offerta di SIP/TELECOM ITALIA. Ciò è stato conseguito attraverso lo sviluppo sia di reti (ISDN e Rete Intelligente) che di servizi, e con l'intento di acquisire come clienti le aziende multinazionali attive sul mercato italiano; b) il consolidamento della presenza dei grandi gestori internazionali (oltre ad Italcable, British Telecom, France Télécom, Sprint, AT&T, Cable & Wireless, Unisource), sia nel senso dell'ampliamento del loro numero, sia nel senso dell'allargamento della loro offerta, la quale sempre più tende ad interessare anche i servizi nazionali; c) lo sviluppo dell'offerta di servizi industry-specific, con l'affermazione di operatori settorialmente specializzati Ad esempio, nel settore bancario, accanto alla SIA (Società Interbancaria per l'Automazione) è nata nel 1992 la SSB (Società per i Servizi Bancari): entrambe queste aziende forniscono servizi telematici alle imprese bancarie. Nel settore delle assicurazioni dal 1989 è attiva la società RITA, che fornisce essenzialmente servizi di rete.; d) in prospettiva, la possibilità di un ingresso nei mercati dei servizi di trasmissione dati e dei servizi a valore aggiunto di aziende attive in settori diversi dalle telecomunicazioni, come sempre più di frequente accade negli altri Paesi industrializzati Tuttavia, affinché ciò sia possibile, tali imprese debbono, da un lato, avere sviluppato reti interne sufficientemente estese, così da potere considerare l'opportunità di rivendere a terzi i propri servizi, dall'altrolato, abbiano comunque a loro disposizione sistemi di rete..
Dal punto di vista della concorrenza, si va delineando un progressivo rafforzamento del grado di competizione tra le imprese, rispetto al quale è indispensabile procedere ad una profonda e tempestiva revisione del quadro normativo e degli assetti regolamentativi. A tal fine, sono attesi i decreti del Ministero PP.TT. che definiranno le modalità di attuazione del decreto legislativo che ha recepito la Direttiva 90/388.

d) I servizi di telefonia non riservati

Per lungo tempo, i servizi di telecomunicazioni sono stati  assoggettati ad un regime di monopolio statale che trovava il proprio fondamento nell'articolo 43 della Costituzione e nell'articolo 1 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, altrimenti noto come Codice Postale. Un primo passo verso l'apertura alla concorrenza dei servizi di telecomunicazioni è stato compiuto, nel 1990, con l'approvazione del "Piano regolatore nazionale delle telecomunicazioni", D.M. 6 aprile 1990, il quale decreta (articolo 3) l'uscita dall'ambito riservato al monopolio statale e quindi l'apertura alla concorrenza dei cosiddetti servizi a valore aggiunto. Si è trattato, tuttavia, di un avvio incerto per la liberalizzazione del settore: difatti, la nozione di servizi a valore aggiunto cui fa riferimento il citato piano regolatore è decisamente restrittiva, tale da non comprendere vari servizi che nell'esperienza degli altri Paesi industrializzati sono generalmente considerati a valore aggiunto, quali i servizi di trasmissione dati ed i servizi di telefonia per i gruppi chiusi di utenti.
Come già ricordato in precedenza, l'apertura alla concorrenza dei servizi di telecomunicazioni ha ricevuto un forte impulso dalla Comunità Europea. Fondamentale in tale ambito è la più volte menzionata Direttiva della Commissione 90/388/CEE, relativa alla concorrenza nei mercati dei servizi di telecomunicazioni, di recente parzialmente modificata dalla direttiva della Commissione 94/46/CE, in materia di comunicazioni via satellite.
Tra le altre cose, questa direttiva imponeva agli Stati membri di modificare, entro il 31 dicembre 1990, gli ordinamenti nazionali in modo da riconoscere a tutti gli operatori interessati il diritto di fornire qualsiasi servizio di telecomunicazioni con la sola eccezione del servizio di telefonia vocale. Quest'ultimo è stato escluso dal processo di liberalizzazione, almeno fino al 1998, in quanto si è ritenuto che l'apertura alla concorrenza del medesimo avrebbe potuto minacciare l'equilibrio finanziario degli organismi pubblici di telecomunicazioni e quindi ostacolare il compimento della missione ad essi affidata, consistente nella installazione e gestione di una rete universale.
La Direttiva, tuttavia, non ha escluso dalla liberalizzazione tutti i servizi di telecomunicazioni che comportano il trasporto della voce, ma solo il servizio che presenti simultaneamente tutte le caratteristiche indicate nella definizione fornita dall'articolo 1 della Direttiva stessa: e cioè "la fornitura al pubblico del trasporto diretto e della commutazione della voce in tempo reale in partenza e a destinazione dei punti terminali della rete pubblica commutata, che consente ad ogni utente di utilizzare l'attrezzatura collegata al suo punto terminale di tale rete per comunicare con un altro punto terminale". In termini più immediati, la Direttiva ha escluso dalla liberalizzazione il servizio che consente ad un qualsiasi individuo di conversare con un qualsiasi altro individuo utilizzando la rete pubblica commutata, mentre ha liberalizzato tutti i servizi di trasporto della voce che non sono immediatamente fruibili dal pubblico, in quanto forniti a gruppi chiusi di utenti, quali ad esempio i servizi atti a collegare telefonicamente tutti gli uffici di un medesimo gruppo di società.
Di recente, l'Autorità ha avuto occasione di occuparsi della materia dei servizi di telecomunicazioni per gruppi chiusi di utenti nell'ambito di un procedimento per abuso di posizione dominante avviato nei confronti della società Telecom Italia Spa e conclusosi, in data 10 gennaio 1995, con l'accertamento dell'abuso. In breve, si tratta di un caso in cui Telecom Italia ha rifiutato di fornire ad una piccola impresa di telecomunicazioni, la Telsystem Spa, le linee necessarie per la prestazione, ad alcune società con sedi sia a Roma che a Milano, di un servizio di telecomunicazioni atto a consentire il transito, come chiamate interne, delle telefonate effettuate tra gli uffici di Roma e di Milano di ciascuna società. L'Autorità, a seguito di una approfondita istruttoria, ha ritenuto che il servizio fornito dalla società Telsystem non si configurasse come servizio di telefonia vocale e che, in ragione della diretta applicabilità nell'ordinamento nazionale delle disposizioni contenute nella Direttiva 90/388/CEE, la Telsystem avesse il diritto di fornire liberamente i propri servizi di telecomunicazioni e di chiedere a Telecom Italia la messa a disposizione dell'infrastruttura ad essi necessaria.


PARTE TERZA
La necessità di un nuovo quadro regolamentare

La rapidità e la rilevanza dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nel settore delle telecomunicazioni rendono indifferibile l'esigenza di una contestuale, profonda revisione del quadro regolamentativo, volta ad adeguare criteri, modalità e strumenti dell'intervento pubblico ai nuovi scenari determinati dal progresso tecnologico e dall'evoluzione dei mercati.
Su questo tema l'Autorità ha avuto modo di intervenire in diverse occasioni, in particolare segnalando la necessità di procedere ad una netta separazione tra funzioni di regolamentazione e responsabilità gestionali ed auspicando l'istituzione di un apposito organismo settoriale di regolamentazione, con caratteristiche di autonomia e di indipendenza dal Governo e dalle imprese, nonché dotato di una conoscenza sufficientemente approfondita e dettagliata dei mercati.
Tali indicazioni risultano in larga parte recepite nel disegno di legge (n. 359-A/R) istitutivo delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, attualmente all'esame del Parlamento. Due aspetti, tuttavia, meritano di essere ulteriormente evidenziati.
Il primo riguarda l'esigenza che l'esercizio delle funzioni e dei poteri assegnati alla nuova Autorità settoriale di regolamentazione sia istituzionalmente vincolato al perseguimento di obiettivi di promozione della concorrenza e che l'efficacia delle misure adottate per favorire l'ingresso e lo sviluppo di nuove imprese sui mercati delle telecomunicazioni possa rappresentare un elemento qualificante ed un criterio fondamentale di valutazione dell'attività del nuovo organismo. L'intervento pubblico assumerebbe così un ruolo essenziale di supporto dei processi di liberalizzazione dei mercati, creando inoltre validi presupposti per lo sviluppo di un rapporto di proficua ed efficace complementarità tra le funzioni di regolamentazione e quelle di tutela della concorrenza.
Il secondo aspetto attiene alla necessità che assetti e ambiti di regolamentazione possano utilmente adattarsi nel tempo in rapporto alle opportunità determinate dall'evoluzione delle condizioni economiche e tecnologiche dei mercati. Nel settore delle telecomunicazioni, in particolare, l'entità e la rapidità con le quali questi cambiamenti tendono a manifestarsi rendono ancor più rilevante l'esigenza di prevedere espressamente meccanismi periodici di revisione degli ambiti di regolamentazione, volti a consentire l'eliminazione di interventi regolamentativi sui comportamenti d'impresa laddove le modificazioni che intervengono nella struttura dei mercati siano tali da garantire il funzionamento di una efficace disciplina concorrenziale.
Infine, un capitolo autoconsistente di una agenda per la riforma della disciplina di regolamentazione delle telecomunicazioni dovrebbe riguardare gli effetti indotti sul settore dei servizi di radiodiffusione dal processo di convergenza tecnologica ed economica tra i due settori, nonché la connessa questione del cosiddetto "cablaggio" del territorio nazionale. Al riguardo, sono a tutti note le conseguenze che l'evoluzione tecnologica delle telecomunicazioni ha prodotto nelle condizioni di produzione dell'industria radiotelevisiva. Sotto il profilo della disciplina del settore, questo evento ha significato - tra le altre cose - modifiche sostanziali negli assetti strutturali dei mercati (confini e dimensioni degli stessi, ingresso di nuove imprese con fisionomie differenti dai tradizionali operatori) ed ha evidenziato la necessità di rivedere le modalità di regolamentazione delle attività. Rispetto a questo contesto, il nostro Paese denota un peculiare ritardo: difatti, "i criteri di regolamentazione ed i conseguenti assetti scarsamente concorrenziali dei mercati hanno impedito lo sviluppo della TV via cavo ed i divieti normativi hanno ostacolato l'accesso di nuove imprese al mercato dei servizi di telecomunicazione, frenando gli effetti moltiplicativi del reddito e dell'occupazione originati dal progresso tecnologico" (dalla Relazione annuale dell'Autorità, maggio 1995, p. 31).
Ciò premesso, è utile precisare che il problema della diffusione nel nostro Paese di una  rete cablata (intendendo soprattutto il ricorso alla fibra ottica) non è legato soltanto alla possibilità di erogare servizi radiotelevisivi, ma rimanda al più vasto utilizzo delle enormi capacità trasmissive che il cavo mette a disposizione per la fornitura di servizi di telecomunicazione, in particolare per i futuri (ma non troppo) servizi multimediali (telemedicina, teledidattica, telelavoro, teleconferenza e così via). Se questo è il corretto contesto di riferimento, appare necessario prevedere che sia consentito ad operatori diversi da Telecom Italia di investire nell'opera di cablaggio delle aree in cui si manifesti fin da ora una significativa domanda per i servizi di telecomunicazione tradizionali (la telefonia vocale) ed innovativi (multimediali). In tal senso, per quanto attiene lo sviluppo delle reti cavo, non si tratta di modificare, più o meno marginalmente, il quadro normativo italiano per adeguarlo alla recente evoluzione delle tecnologie e dei mercati, quanto, piuttosto, di recuperare il ritardo del nostro Paese, innanzitutto attraverso una vasta e diffusa azione di promozione della concorrenza, tale quindi da superare gli ostacoli normativi attualmente esistenti (de-regulation), per procedere quindi alla definizione delle nuove regole alle quali dovranno attenersi le imprese (re-regulation). In sintonia con quanto affermato dall'Autorità in occasione dell'indagine conoscitiva sulla multimedialità, promossa dalla VIII Commissione del Senato, appare allora necessario assumere l'occasione del cablaggio quale opportunità fondamentale per aprire alla concorrenza anche le infrastrutture di telecomunicazione. Di conseguenza, si potrà prevedere, per gli operatori privati diversi dal gestore pubblico, la liberalizzazione della possibilità di costruzione ed installazione delle reti via cavo, congiuntamente alla possibilità di fornire programmi televisivi e servizi di telecomunicazione di ogni tipo. Tuttavia, come indica l'esperienza dei Paesi in cui una tale liberalizzazione si è già attuata, la semplice possibilità per i privati di operare nella costruzione e gestione di reti non è sufficiente per garantire lo sviluppo di una effettiva concorrenza. Il gestore della rete pubblica gode, infatti, di vantaggi diretti e indiretti, derivanti dalla sua posizione di incontestabile dominio sul mercato, che rischiano di dar luogo a barriere invalicabili per lo sviluppo di concorrenti su una scala significativa. Al fine di consentire lo sviluppo di nuovi operatori e di una effettiva concorrenza, potrebbe quindi essere opportuno prevedere limitazioni, sia pure in via temporanea.
In conclusione, in uno scenario di trasformazione dei mercati che conduce a superare l'artificiosa separazione tra telecomunicazioni e servizi radiotelevisivi A tale riguardo, si deve infatti ricordare che ai sensi della Convenzione di Madrid del 6 dicembre 1932, resa esecutiva in Italia con R.D. 23 marzo 1933, non vi è distinzione tra telecomunicazioni e televisione. Difatti, per telecomunicazioni veniva intesa ogni emissione, trasmissione o ricezione di segnali (scritti, immagini, suoni ed informazioni di qualsiasi natura) per filo, radioelettrica, ottica o a mezzo di sistemi elettromagnetici. , il punto di equilibrio cui deve tendere la politica pubblica è quello di impedire la costituzione di nuove posizioni dominanti e lo sfruttamento di quelle in essere al fine di limitare la concorrenza, senza, peraltro, contrastare la naturale evoluzione dei mercati, indotta dallo sviluppo tecnologico e dalla stessa struttura competitiva.